L’aspetto più interessante della pittura di Gabriele Mattera (1929 - 2005) sta nel fatto che mentre la valorizzazione turistica dell’isola d’Ischia suggeriva l’esaltazione dei miti della mediterraneità (la gioia di vivere, l’amenità dei luoghi) egli ha provveduto in tutta la sua produzione artistica a demistificarli, a mandare in frantumi ogni lettura fintamente idilliaca della realtà.
Secondo il giornalista e critico d’arte Paolo Ricci, in questo stacco tra una visione oleografica della realtà sociale dell’isola e l’intuizione di una natura immanente che sta dietro tutte le cose, un ruolo fondamentale lo ha giocato il fatto che tutta l’esistenza di Mattera si sia svolta su quel Castello aragonese, che, per architettura e maestosità suggerisce un che di inquietante, appena mitigato dalla struggente bellezza del paesaggio dominato dall’alto.
In altri termini, la capacità di rendere immediatamente visibili la paura e l’angoscia che agitano il suo inconscio è inestricabilmente legata alla potenza evocativa del Castello. Di qui, la cifra stilistica di Mattera, che, sempre secondo Ricci, lo colloca decisamente nell’area dell’Espressionismo.
Su questa scia si capiscono meglio i vari cicli pittorici dell’artista: dagli esordi, in cui per molto tempo i soggetti ritratti sono stati i "Pescatori", colti però nella drammaticità della loro faticosa condizione di vita, al ciclo, famoso, delle "Bagnanti" in cui la potente opera di demistificazione del pittore si concentra sul corpo della donna, ritratto gonfio, adiposo, ridicolo nel suo tentativo di ripararsi da un sole che non c’è.
In ambo i casi, è evidente la denuncia contro le rappresentazioni commerciali di una certa pubblicistica turistica che, ossessionata dal mito dell’autenticità vende in maniera edulcorata gli stili di vita dell’isola d’Ischia, tanto quelli del popolo, quanto quelli della borghesia vacanziera. Mattera si incarica di fare il controcanto a questa retorica vitalistica, facendo emergere la sua visione del mondo, improntata, come egli stesso sottolineava a proposito del suo lavoro, di un realistico pessimismo.
I successivi capitoli della pittura di Gabriele Mattera - "Tende", "Uomini nella natura" e "Uomini rossi" - lasciano trasparire una maggiore propensione alla visionarietà, con notevoli sviluppi sul piano stilistico e cromatico, come ad esempio la preferenza per tele monocrome, prima rosse, poi blu.
Ed è proprio la grande versalità artistica, lo slancio creativo, l’altro decisivo aspetto che ha favorito la vasta eco nazionale e internazionale delle sue opere, a testimonianza, secondo alcuni, dell'esistenza di una vera e propria "scuola ischitana" nella pittura del Novecento, di cui Mattera sarebbe uno dei massimi interpreti.
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