Wystan Hugh Auden (1907-1973) è stato senza dubbio uno dei più grandi poeti del '900. Nato a York, in Inghilterra, condusse un’esistenza inquieta e girovaga, che lo portò, a soli 30 anni (1937), in Spagna, dove partecipò alla guerra civile a fianco dei repubblicani, quindi negli Stati Uniti (1939), dove visse gran parte della sua esistenza e dove raccolse il maggior successo di critica e di pubblico, infine in Austria, a Kirchstetten, un paesino poco distante da Vienna, dove è morto nel 1973 e dove è ricordato con una casa-museo, gestita dal locale municipio.
Per quasi dieci anni, a partire dal 1948, scelse come sua residenza estiva l'isola d'Ischia, inizialmente soggiornando in una pensione di Forio, successivamente fittando un appartamento in paese. Memorabili le lunghe giornate trascorse al primo tavolino all’esterno del Bar Maria, a sinistra guardando l’ingresso del locale, di fronte quella Fontana, in Piazza Pontone, che, si dice, il poeta non amasse particolarmente.
Da un punto di vista letterario numerose furono le sue influenze. C’è una prima produzione giovanile in cui è palese la vicinanza a Marx e Freud; una seconda parte in cui la critica sociale lascia gradualmente spazio all’analisi introspettiva, esistenziale, muovendo dall'eredità filosofica di Kierkegaard. La critica dei costumi borghesi che probabilmente lo aveva spinto ad Ischia, alla ricerca di una vita frugale, autentica, da opporre agli stereotipi della middle-class continentale, viene sostituita con una poetica che ruota attorno ai temi religiosi del peccato e della salvezza, sia pure vissuti dall’uomo, omosessuale dichiarato, in chiave eretica, anticonformista.
Una costante, invece, della vasta produzione letteraria di Auden è stato l’abbandono del tono aulico della poesia, a favore di quelle «memorable speech», le parole che si fanno ricordare, che lasciano il segno, nella memoria e nell’immaginazione di chi le legge.
Come vale certamente per "Addio al Mezzogiorno" la sua poesia di commiato da Forio e dal Sud Italia, di cui, a seguire, riportiamo i versi:
Addio al Mezzogiorno |
Goodbye to the Mezzogiorno |
Usciti da un gotico nord, pallidi figli D'una civiltà di patate e birra-o-whisky E di colpa, ci comportiamo come i nostri padri e scendiamo Nel Sud verso un riarso altrove Di vigneti, barocco, la bella figura, Queste femminili città dove gli uomini Sono maschi e tutti fratello e sorella, ignari della spietata Intima lotta verbale che s'insegna Nei rettorati protestanti durante i piovigginosi Pomeriggi domenicali, non più come lerci Barbari in caccia d'oro, né come mercanti Smaniosi dì Vecchi Maestri, ma pur sempre Avidi di saccheggio: convinti, alcuni, che si faccia all'amore Meglio nel Sud e molto più a buon mercato (Il che è dubbio), persuasi altri, che l'esporsi A un sole violento sia micidiale per i germi (Il che è chiaramente balordo), e altri, come me, Nella mezza età, mossi dalla speranza di scovare da Ciò che non siamo quel che potremo essere in séguito, domanda Che il Sud sembra non porsi mai. Forse Una lingua nella quale Nestore e Apemanto, Don Ottavio e Don Giovanni danno Suoni egualmente belli, non è attrezzata Per formularla, e forse in questa calura Non ha senso: il mito d'una Strada Aperta Che passa davanti al cancello dell'orto e invita Tre fratelli ad andare uno dopo l'altro oltre i colli E via lontano, è invenzione D'un clima dove camminare è diletto, E d'un paesaggio meno popoloso Di questo. Pure, ci sembra molto strano Non veder mai un figlio unico immerso In un gioco almanaccato da lui, un paio d'amici Scambiarsi scherzi in una lingua tutta loro, O un non deficiente vagolare per conto suo, Così come le nostre orecchie rimangono perplesse Quando i gatti vengono chiamati gatto e i cani Lupo o Nero o Bobby. Il loro modo di mangiare Ci svergogna; non possiamo non invidiare un popolo Così frugale per natura che non costa loro Alcuno sforzo il non ingozzarsi e non sbevazzare: tuttavia (se Leggo bene le loro facce dopo dieci anni) Sono senza speranza. I Greci solevano chiamare il sole Colui-che-colpisce-di-lontano, e da qui, dove Le ombre hanno orli a taglio di lama, e l'oceano d'ogni giorno è azzurro, Capisco che cosa intendevano: il suo occhio Fermo e sdegnoso si fa beffe di qualsiasi idea Di mutamento o evasione, e un muto Vulcano spento, senza un corso d'acqua o un uccello Echeggia quel riso. Questo è forse il motivo Per cui tolgono il silenziatore dalle loro Vespe, Aprono la radio al massimo, E il menomo santo può aspettarsi i mortaretti — frastuono Inteso per esorcismo, un modo di dare La baia alle Tre Sorelle: «Può darsi che noi si sia mortali Ma siamo ancora qui!» — e questo li rende forse desiderosi Di contatti di gomito; in strade fittamente gremite Di carne umana, le loro anime si sentono immuni Da ogni minaccia metafisica. Noi siamo un po' sconcertati, Ma abbiamo bisogno di esserlo: l'accettazione dello spazio, la Convinzione che non è detto le superfici debbano essere superficiali O i gesti volgari, non si possono veramente Insegnare dove giunge all'orecchio il murmure dei torrenti O in vista d'una nube. Come scolari Non siamo malvagi, ma come maestri siamo impossibili: Goethe, Che scandisce esametri omerici battendo il ritmo Sulla scapola d'una ragazza romana, è (Vorrei fosse un altro) l'immagine Di tutto il nostro stampo. Senza dubbio la trattava bene, Ma non ci si sente di chiamare L'Elena generata in quell'occasione, Regina della sua Seconda Walpurgìsnacht, Figlia di lei: tra quelli che vedono nella vita un Bildungsroman, e quelli per i quali vivere Significa essere-visibili-ora, si spalanca un abisso Sul quale gli abbracci non possono far ponte. Se cerchiamo Di «meridionaìizzarci», in men che non si dica andiamo a rotoli, Diventiamo flaccidi, lubricamente lussuriosi e Dimentichiamo di pagare i conti: che mai si venga a sapere Di loro che hanno fatto voto di non bere più o che si sono dati Allo Yoga è un consolante pensiero — così con tutto II bottino spirituale che portiamo via di soppiatto, Non facciamo loro alcun male — e ci da il diritto, mi sembra, Di rispondere con uno strilletto, non due, Al loro «A piacere!» Devo proprio andarmene, ma me ne vado Grato (perfino a un certo Signor Monte), e invoco I miei sacri nomi meridiani: Pirandello, Croce, Vico, Verga, Bellini, Per benedire questo paese, le sue vendemmie e gli uomini Che lo chiamano casa loro: sebbene non sempre si possa Ricordare esattamente perché si è stati felici, Non ci si dimentica d'esserlo stati. |
Out of a gothic North, the pallid children Of a potato, beer-or-whisky Guilt culture, we behave like our fathers and come Southward into a sunburnt otherwhere Of vineyards, baroque, la bella figura, To these feminine townships where men Are males, and siblìngs untrained in a ruthless Verbal in-fighting as it is taught In Protestant rectories upon drizzling Sunday afternoons — no more as unwashed Barbarians out for gold, nor as profiteers Hot for Old Masters, but for plunder Nevertheless — some believing amore Is better down South and much cheaper (Which is doubtful), some persuaded exposure To strong sunlight is lethal to germs (Which is patently false) and others, like me, In middle-age hoping to twig from What we are not what we might be next, a question The South seems never to raise. Perhaps A tongue in which Nestor and Apemantus, Don Ottavio and Don Giovanni make Equally beautiful sounds is unequipped To frame it, or perhaps in this heat It is nonsense: the Myth of an Open Road Which runs past the orchard gate and beckons Three brothers in turn to set out over the hills And far away, is an invention Of a climate where it is a pleasure to walk And a landscape less populated Than this one. Even so, to us it looks very odd Never to see an only child engrossed In a game it has made up, a pair of friends Making fun in a private lingo, Or a body sauntering by himself who is not Wanting, even as it perplexes Our ears when cats are called Cat and dogs either Lupo, Nero or Bobby. Their dining Puts us to shame: we can only envy a people So frugal by nature it costs them No effort not to guzzle and swill. Yet (if I Read their faces rightly after ten years) They are without hope. The Greeks used to call the Sun He-who-smites-from-afar, and from here, where Shadows are dagger-edged, the daily ocean blue, I can see what they meant: his unwinking Outrageous eye laughs to scorn any notion Of change or escape, and a silent Ex-volcano, without a stream or a bird, Echoes that laugh. This could be a reason Why they take the sìlencers off their Vespas, Turn their radios up to full volume, And a minim saint can expect rockets — noise As a counter-magic, a way of saying Boo to the Three Sisters: 'Mortal we may be, But we are stili here!' — might cause them to hanker After proximities — in streets packed solid With human flesh, their souls feel immune To all metaphysical threats. We are rather shocked, But we need shocking: to accept space, to own That surfaces need not be superficial Nor gestures vulgar, cannot really Be taught within earshot of running water Or in sight of a cloud. As pupils We are not bad, but hopeless as tutors: Goethe, Tapping homeric hexameters On the shoulder-biade of a Roman girl, is (I wish it were someone else) the figure Of all our stamp: no doubt he treated her well, But one would draw the line at calling the Helena begotten on that occasion, Queen of his Second Walpurgisnacht, Her baby: between those who mean by a life a Bildungsroman and those to whom living Means to-be-visible-now, there yawns a gulf Embraces cannot bridge. If we try To 'go southern', we spoil in no time, we grow Flabby, dingily lecherous, and Forget to pay bills: that no one has heard of them Taking the Pledge or turning to Yoga Is a comforting thought — in that case, for all The spiritual loot we tuck away, We do them no harm — and entitles us, I think To one little scream at A piacere, Not two. Go I must, but I go grateful (even To a certain Monte) and invoking My sacred meridian names, Vico, Verga, Pirandello, Bernini, Bellini, To bless this region, its vendages, and those Who call it home: though one cannot always Remember exactly why one has been happy, There is no forgetting that one was. |
Hotel Vicino alla spiaggia (inclusa nel prezzo a Luglio e Agosto)
Esclusivo Resort, Terme 24 ore, 4 piscine
Vacanza termale in pieno centro e a pochi passi dal mare
Park Hotel Baia delle Sirene Club Resort
Centralissimo, a due passi da C.so Vittoria Colonna e dal mare
Vista tramonto mozzafiato, terme convenzionate
La Formula Roulette prevede l'assegnazione dell'hotel a pochi giorni dal check-in