Se non avessimo saputo che l’intero ciclo decorativo della bella chiesa di San Carlo in località Cierco, a Forio, è frutto dell'ingegno del pittore foriano del ‘600 Cesare Calise, oggi sapremmo ancor meno di quest’artista, comprese le sue stesse origini. Si deve al più volte sindaco di Forio Giuseppe D’Ascia (1822 -1889), autore della monumentale opera Storia dell’Isola d’Ischia (1864), il primo, decisivo, contributo di chiarezza sulla paternità delle opere contenute in questa graziosa chiesa in tufo verde al centro del paese.
Scrive il D’Ascia: "Tutti gli affreschi, la maggior parte cassati, che covrono le mura, le volte, gli angoli, e la cupola della chiesa, sono usciti da un pennello Foriano, del noto Cesare Calise". Noto a Lui evidentemente, uomo coltissimo per gli standard dell’epoca, ma sconosciuto ai più, anche per l’abitudine artistica del Calise di firmare le sue opere con la formula Caesar Calensis Pingebat o Pinxit (pingebat e pinxit sono la terza persona singolare, imperfetto e perfetto indicativo del verbo transitivo pingo, is, pinxi, pictum, ere - dipingere).
Nel ‘900 un altro studioso dell’arte isolano Giuseppe Alparone (Artisti dell'isola d'Ischia, Napoli, Società editrice napoletana, 1982, a cura di Massimo Ielasi, pp. 33-41) si è messo "sulle tracce" di questo pittore foriano, ricavandone un primo, frammentario censimento delle sue opere, a partire dal rinvenimento nei registri parrocchiali delle due Basiliche Minori di Santa Maria di Loreto e di San Vito in Forio, dei contratti di committenza firmati dall'artista. La produzione di Calise, tra l’altro, non circoscritta alla sola Chiesa di San Carlo, va collocata, secondo Alparone, in un periodo compreso tra il 1588 e il 1641. Sono di Calise, ad esempio, il San Giovanni Evangelista della Chiesa di Santa Maria di Loreto, il Sant’Agostino del Soccorso, le effigie di San Gennaro e Santa Cecilia nella chiesa di San Vito, La Madonna e i Santi nella chiesa di San Rocco a Barano, oltre, pare, agli affreschi che una volta ornavano la suggestiva chiesetta di Santa Maria al Monte a Forio.
Alparone inserisce la pittura di Calise nel tardo-manierismo del ‘600, aggiungendo, ed è la nota più importante, che essa è in linea con gli sviluppi culturali della Controriforma: da un lato, il riferimento è al proliferare del culto dei Santi incoraggiato dal Concilio di Trento al fine di contrastare sul piano della dottrina Calvinismo e Luteranesimo; dall’altro, si fa esplicito riferimento a tal cardinal Paleotti che, di quel Concilio, fu uno dei protagonisti assoluti, con il compito precipuo di dettare i canoni estetici e pittorici cui dovevano attenersi gli artisti della Controriforma. Celebre il "Discorso intorno alle immagini sacre e profane" con il quale questo cardinale tracciava, vent’anni dopo la fine dei lavori conciliari, forme e contenuti dell’arte sacra a cavallo tra XVI e XVII secolo.
Il manierismo di Cesare Calise, anche se sorpassato dagli stessi sviluppi pittorici dell’arte controriformata (che anzi suggeriva un ritorno al naturalismo e al classicismo), è però assolutamente coerente con il messaggio della Chiesa Cattolica del tempo. Sia per i soggetti rappresentati che per il fine mercantile perseguito, rivolto a una committenza conservatrice con un atteggiamento che Alparoni definisce tipico dei "laudatores temporis acti" (lodatori del tempo passato). Da qui l’importanza storica di "questo modesto ma non ignobile" manierista foriano, per riprendere le parole di Alparone, con l’invocazione, anche questa condivisibile, di provvedere al restauro delle molte opere attribuite a Calise in giro per le chiese di Forio e dell’isola d’Ischia.
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