C’è un bel libro dello scrittore napoletano Erri De Luca, "I pesci non chiudono gli occhi" (Feltrinelli, 2011) in cui Ischia, per altro mai nominata "apertis verbis", è lo spazio in cui si muove un ragazzino di dieci anni, in vacanza sull’isola alla fine degli anni ‘50, alla scoperta di se stesso, mosso dal desiderio di pareggiare la profondità delle inquietudini che lo agitano con l’aspetto fisico, che è ancora quello di un bambino.
Il racconto è fluido, con periodi brevi e concisi e la capacità, propria solo dei grandi scrittori, di ricreare continuamente quell’effetto di attesa che induce a continuare la lettura.
Quello che colpisce è l’evocazione dell’isola come uno "spazio aperto", l’opposto di una "città chiusa" come Napoli. Il capovolgimento di prospettiva rispetto all’immaginario turistico e alla contrapposizione abituale con ciò che sta in terraferma è evidente.
Ischia non è (solo) il luogo dell’evasione, la meta esotica in cui affrancarsi dal peso e dalle incombenze della città. Al contrario, è il luogo dove sin dal primo, decisivo, passaggio dall’età della fanciullezza all’adolescenza, si regolano i conti con se stessi e con gli altri, senza la possibilità di rimandarli - questi conti - mimetizzandosi nella folla anonima della metropoli.
Del resto, il rapporto tra lo scrittore napoletano e Ischia è quanto mai profondo. Per lo meno in altri due romanzi, "L’isola è una conchiglia" (Edizioni La Conchiglia) e, soprattutto, "Tu, mio" (Feltrinelli), la più grande delle isole flegree è l’ambiente dove l’uomo scopre la passione per la montagna scalando l'Epomeo e dove prendono corpo quei convincimenti politici radicali che lo porteranno a essere protagonista della controversa stagione degli scontri di piazza negli anni ‘70.
Molto bello anche che le mani ruvide dei pescatori, i loro gesti quotidiani, i lunghi silenzi, le ore passate a rammendare le reti sulla spiaggia e a pescare in mezzo al mare concorrano alla bellezza del paesaggio tanto quanto i magnifici tramonti e il blu intenso del cielo di settembre, a conferma del fatto che l’isola d’Ischia è molto di più che una semplice località balneare, ma un territorio dove ci si può scoprire escursionisti, scrittori, intellettuali impegnati, a dispetto - o forse proprio per questo - della frugalità degli stili di vita e della consapevolezza che i grandi appuntamenti della storia avvengono altrove.
Di seguito qualche stralcio delle prime pagine del romanzo:
Scendevo alla spiaggia dei pescatori, stavo i pomeriggi a guardare le mosse delle barche. Con il permesso di mamma potevo andare su una di quelle, lunghe, coi remi grossi come alberi giovani. A bordo facevo quasi niente, il pescatore si faceva aiutare in qualche mossa e mi aveva insegnato a muovere i remi, grandi il doppio di me, stando in piedi e spingendo il mio peso su di loro a braccia tese e in croce. [...] Al pescatore serviva in qualche momento la mia piccola forza ai remi. Non mi faceva accostare agli ami, alle lunghe lenze col piombo di profondità. Erano attrezzi di lavoro e stavano male in mano ai bambini. In terraferma, a Napoli, invece stavano eccome i ferri e le ore di lavoro sui bambini.
Mi faceva gettare l’ancora. Avevo raggiunto i dieci anni. [...] L’infanzia smette ufficialmente quando si aggiunge il primo zero agli anni. Smette ma non succede niente, si sta dentro lo stesso corpo di marmocchio inceppato delle altre estati, rimescolato dentro e fermo fuori.
(tratto da "I pesci non chiudono gli occhi" di Erri De Luca, Feltrinelli editore, 2011)
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