Le "case di pietra" della Falanga sono una straordinaria testimonianza dell'ingegno dei contadini ischitani, capaci di adattare i mega blocchi di tufo verde presenti lungo il versante occidentale del Monte Epomeo in ricoveri di fortuna, capanni per gli attrezzi agricoli, cisterne per la raccolta dell'acqua piovana e palmenti per la spremitura dell'uva.
Un esempio "ante litteram" di architettura funzionale sospinto dalla consapevolezza di dover trascorrere diversi periodi dell'anno fuori dalle proprie abitazioni per dedicarsi alla manutenzione dei vitigni che dalla costa si estendevano ben oltre i 500 metri sul livello del mare. Un'esigenza sorta nel XIV e nel XV secolo e però rimasta "valida" per altri cinquecento anni, se consideriamo che nei primi anni '60 del secolo scorso la superficie vitata (coltivata a vite) dell'isola d'Ischia era ancora superiore ai 2000 ettari.
A ulteriore riprova di ciò le parole dello scrittore inglese Norman Douglas che, in visita a Ischia, si lamentò proprio dell'invadenza del "paesaggio del vino" a danno delle superfici boschive. Scrive Douglas nel 1931:
"A Ischia finanche sulle alture più remote, i vigneti stanno progressivamente sostituendo le zone boschive che ormai sono relegate sulle cime dei monti. Dal punto di vista estetico questa scelta mi sembra deplorevole: sebbene in estate le viti sono coperte di fogliame ed offrono un piacevole aspetto lussureggiante, lo stesso luogo negli altri sei mesi dell'anno appare desolato."
(Norman Douglas, "Isole d'estate-Ischia e Ponza", Imagaenaria editore 2004).
Insieme a Douglas, il libraio, antiquario e anch'egli scrittore Giuseppe Orioli che, invece, nell'autobiografia "Avventure di un libraio" dedica un intero capitolo all'isola d'Ischia, indugiando volentieri proprio sulle case di pietra della Falanga. Scrive Orioli:
"Da Buceto, con un lungo tragitto, si può salire fino alla cima dell'Epomeo, indi scendere per un sentiero scosceso sull'altro versante in un bosco ombroso chiamato Falanga, che può essere una parte dell'antico cratere dell'Epomeo. Il Falanga è cosparso di enormi blocchi di tufo pallido che hanno stranissime forme e fanno pensare a una necropoli di giganti."
(Giuseppe Orioli, "Giro indipendente dell'isola d'Ischia", Imagaenaria editore 2004).
La suggestione di Orioli introduce un interessante spunto di riflessione sulla valenza magico-simbolica della pietra nella cultura contadina. Legame di cui esistono numerosissime tracce nel mondo, dalle pietre di Stonehenge, in Inghilterra, fin proprio alla vetta del Monte Epomeo, a Ischia, che secondo i seguaci della teoria della Terra Cava sarebbe uno dei punti di ingresso per la millenaria civiltà sotterranea di Agharti. Senza dimenticare le due chiese rupestri di Santa Maria al Monte e di San Nicola, rispettivamente ai piedi e in cima al bosco della Falanga.
Agricoltura, architettura, paganesimo, religione, letteratura fantasy: tutto nei sei ettari di un meraviglioso bosco di castagni sulla più grande delle isole flegree.
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