Il fuoco è l’elemento dinamico per antonomasia, poichè resta sempre uguale a se stesso pur essendo in ogni momento diverso. La sua capacità di sintesi, di conciliazione delle due istanze opposte del divenire e dell’essere, ha ispirato nei secoli filosofi e teologi nella ricerca comune di un simbolo cui ricorrere per dimostrare l’esistenza di un ordine eterno che precede e determina il reale.
Dunque, non solo metafora naturalistica, ma anche politica, civile e religiosa. Soprattutto in ambito comunitario il fuoco evoca la necessità di tenere costantemente sotto controllo le istanze potenzialmente in grado di minacciare l’unità sociale e perciò, sin dall’antichità, a quest’elemento viene riconosciuto oltre a un potere taumaturgico di risoluzione dei conflitti, anche una funzione purificatrice e benaugurale.
Questa è la cornice di senso del tradizionale fuoco di Sant’Antonio Abate, una ricorrenza antichissima celebrata a Ischia come in diverse altre località della Campania e d’Italia. In località Piellero, a Forio, c’è una cappella che ospita una bella edicola votiva dedicata a Sant’Antuono (come si pronuncia per distinguerlo da Sant’Antonio da Padova) fatta erigere agli inizi del ‘900 dai ciucciai del luogo a devozione del patrono degli animali domestici.
Ogni anno, il 17 gennaio, questi lavoratori dell’indotto agricolo - cui spettava il trasporto dell’uva durante la vendemmia e delle botti di vino per la successiva consegna e commercializzazione in terraferma - si recavano in processione davanti l’effigie del santo con i loro animali da soma. Sul posto avveniva la benedizione delle bestie e degli uomini che a questa ricorrenza attribuivano un forte significato benaugurale, in ossequio alla massima che "chi festeggia Sant’Antuono, tutto l’anno 'o pass 'bbuon".
Al centro della scena un grande falò a simboleggiare, tra l’altro, il graduale, lento, passaggio dall’inverno alla primavera, esattamente come avviene in occasione del fuoco di San Giovanni che saluta invece il solstizio d’estate e l’ingresso della buona stagione. Anche oggi che i ciucciai non ci sono più, scalzati dal progresso in agricoltura da un lato, e dall’economia turistica dall’altro, la tradizione continua con l’annuale appuntamento, sin dalle prime ore del pomeriggio, nei pressi della cappella.
Tra l’altro, è interessante notare come la posizione della stessa - all’inizio di un sentiero che conduce in montagna - non è affatto casuale e si configura come vera e propria "segnaletica simbolica", alternativa e per molto tempo ben più importante della toponomastica ufficiale. Naturalmente, la partecipazione, allora come oggi, è aperta a tutti, perché il fine profondo (come si è visto anche per il rito prenatalizio della benedizione dei pesci) è quello di "stare insieme", ribadendo l’importanza e l’uguaglianza dei legami comunitari.
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